Sarroch nel novecento
Dalla metà degli anni Sessanta l'immagine di Sarroch è indissolubilmente legata alla raffineria di petrolio della SARAS, che ha rappresentato il punto di svolta nella storia del paese. Ma, nei decenni che hanno preceduto l'industrializzazione, com'era la vita a Sarroch, quali erano le principali attività, quale la sua classe dirigente?
di Marco Matta - Tratto da "Sarroch - storia, archeologia e arte", Comune di Sarroch, a cura di Roberto Coroneo.
In questo breve saggio si cerca di offrire un quadro, che, si spera, possa dare un contributo utile per rispondere a tali interrogativi. Attraverso la lettura di un interessante documento risalente ai primi anni del Novecento, è possibile ricostruire alcuni aspetti della vita sociale ed economica del paese. Si tratta della Relazione sanitaria del Comune di Sarroch per l'anno 1906, compilata dal dottor Antonio Brundu, medico condotto del paese. La popolazione sarrochese, composta allora da circa 1350 abitanti, era stanziata in prevalenza nel centro del paese, il rione di Santa Vittoria, ed in tre frazioni: San Giorgio, Antigori e Villa d'Orri, «la più importante delle quali» era «quella di S. Giorgio, composta da circa 400 abitanti, situata a circa un quarto d'ora da Sarroch paese». Nei decenni successivi la borgata di San Giorgio, che nel lontano passato rappresentò il primo nucleo abitativo, andò progressivamente spopolandosi, come documentano i dati dei censimenti: nel 1921 risiedevano nella frazione 174 abitanti, che scesero a 93 nel 1931, sino ai 36 del 1951. Nella frazione di Antigori, in cui aveva sede una fabbrica di materiale esplosivo (in attività sino al 1921) che occupava una cinquantina di operai, viveva una decina di famiglie, mentre a Villa d'Orri, importante azienda agricola di proprietà dei marchesi Manca di Villahermosa sorta nei primi decenni dell'Ottocento e tuttora esistente, lavoravano «poco più di venti coloni ed avventizi».
In questo breve saggio si cerca di offrire un quadro, che, si spera, possa dare un contributo utile per rispondere a tali interrogativi. Attraverso la lettura di un interessante documento risalente ai primi anni del Novecento, è possibile ricostruire alcuni aspetti della vita sociale ed economica del paese. Si tratta della Relazione sanitaria del Comune di Sarroch per l'anno 1906, compilata dal dottor Antonio Brundu, medico condotto del paese. La popolazione sarrochese, composta allora da circa 1350 abitanti, era stanziata in prevalenza nel centro del paese, il rione di Santa Vittoria, ed in tre frazioni: San Giorgio, Antigori e Villa d'Orri, «la più importante delle quali» era «quella di S. Giorgio, composta da circa 400 abitanti, situata a circa un quarto d'ora da Sarroch paese». Nei decenni successivi la borgata di San Giorgio, che nel lontano passato rappresentò il primo nucleo abitativo, andò progressivamente spopolandosi, come documentano i dati dei censimenti: nel 1921 risiedevano nella frazione 174 abitanti, che scesero a 93 nel 1931, sino ai 36 del 1951. Nella frazione di Antigori, in cui aveva sede una fabbrica di materiale esplosivo (in attività sino al 1921) che occupava una cinquantina di operai, viveva una decina di famiglie, mentre a Villa d'Orri, importante azienda agricola di proprietà dei marchesi Manca di Villahermosa sorta nei primi decenni dell'Ottocento e tuttora esistente, lavoravano «poco più di venti coloni ed avventizi».
La comunicazione del paese con Cagliari e con i centri vicini era assicurata da una corriera
postale giornaliera; tuttavia si aspettava l'istituzione di «una corsa di automobili, già sovvenzionata
dal governo», e che, nelle speranze degli amministratori, avrebbe dovuto «apportare nuova vita a
queste popolazioni». Negli anni seguenti il servizio automobilistico venne attuato, ma, almeno in un
primo momento, non diede apprezzabili risultati: nel 1910 ci furono delle lamentele da parte del
prefetto di Cagliari che rilevava sia la mancanza dei passeggeri, i quali preferivano «per un effimero
risparmio, servirsi della carrozza che fa concorrenza all'automobile», sia le pessime condizioni delle
strade che logoravano «in pochissimo tempo le gomme con danno gravissimo del concessionario».
Addirittura nel 1935 venne ripristinata una corsa per Cagliari con vetture trainate da cavalli,
suscitando le proteste della società che gestiva i trasporti automobilistici, la SATAS, che, in una
lettera al podestà, minacciava di sospendere il servizio se si fosse continuato ad incoraggiare «la
riesumazione dei mezzi di trasporto antidiluviani in un periodo di progresso».
Se i trasporti terrestri erano difficoltosi, altrettanto si può dire delle comunicazioni marittime che
erano scarsissime e si riducevano «all'approdo di battelli di piccolo cabotaggio», nonostante il mare
sia distante «appena pochi minuti e vi si acceda per una comoda strada comunale».
La popolazione viveva in abitazioni descritte dal Brundu come «molto primitive per costruzione,
sia per i materiali adoperati, sia per la cattiva disposizione degli ambienti». Oltre ad essere spesso
insufficienti ad «accogliere tante persone che vi convivono», le case erano sprovviste di servizi
igienici e, ad aggravare la situazione, vi era l'abitudine di lasciare il bestiame nei cortili durante la
notte. Le precarie condizioni abitative - comuni peraltro a gran parte dei villaggi rurali della
Sardegna - emergono chiaramente dai dati del censimento del 1921: il 68% della popolazione viveva
in abitazioni con un massimo di tre vani (la percentuale scese al 59% dieci anni dopo e al 47% nel
1951), e non erano infrequenti casi di cinque, sei e anche sette individui dello stesso nucleo familiare
costretti a convivere in una sola stanza.
Un altro elemento che contribuiva a rendere precaria la situazione igienica era la scarsa disponibilità
di acqua potabile. All'interno del centro abitato esistevano solo due fonti pubbliche, mentre per gli
usi agricoli ci si riforniva nelle fonti di Is Suergius e di Is Piccionis; i più fortunati, cioè coloro che
possedevano un mezzo di trasporto, facevano provvista d'acqua dal vicino comune di San Pietro Pula
(oggi Villa San Pietro). Il problema della scarsità di acqua potabile si protrarrà a lungo: solo nel
1949 verrà ultimata la costruzione dell'acquedotto.
La relazione del medico condotto prosegue con alcuni brevi cenni sull'economia del paese. Il
territorio, in prevalenza montagnoso e collinoso, favoriva l'esercizio della pastorizia che
rappresentava l'attività principale dei sarrochesi, tanto che la carne non scarseggiava mai: «quasi
giornalmente» si macellavano «pecore, montoni e capre e nella stagione fredda, maiali, agnelli e
capretti». Infatti, come si può rilevare dai censimenti generali del bestiame compilati annualmente, il
patrimonio zootecnico, soprattutto quello ovino e caprino, era piuttosto consistente: il numero delle
pecore passò da 2.182 del 1900 a 4.551 del 1908 sino a 5.005 del 1918. Le capre che nel 1900 erano
2.741 aumentarono a 4.337 nel 1908 e a 5.486 nel 1918. L'incremento dell'allevamento ovino nei
primi anni del Novecento è da mettersi in relazione anche al diffondersi dei caseifìci, che si
impiantarono numerosi in tutta la Sardegna.
I pascoli sarrochesi erano frequentati anche da un certo numero di pastori provenienti dalle zone
interne dell'isola, soprattutto da Tonara, ma anche da Meana Sardo, Orgosolo ed Aritzo.
L'agricoltura, al contrario, non era molto redditizia per «la natura geologica del terreno e per
altre cause di varia indole» che il relatore non specifica. Nel 1908 risulta che, in una superficie
totale di circa 6700 ettari, i terreni coltivati a grano ammontavano a 1280 ettari, mentre quelli
dedicati alla viticoltura si estendevano per 65,60 ettari. Gran parte del territorio era occupato dalla
coltura specializzata dell'olivo, dai mandorleti e dai frutteti o sfruttato come pascolo. In particolare
viene definita «straordinaria la produzione delle pere», che costituivano «una specialità» dei prodotti
ortofrutticoli di Sarroch. Notevole anche la produzione di fave.
La pesca, nonostante la vicinanza del mare, non era praticata dai sarrochesi: non risultava nel
comune alcuna famiglia di pescatori.
Le attività commerciali erano numerose, come si può riscontrare dai prospetti relativi allo Stato
degli utenti pesi e misure soggetti alla verificazione, che il Comune era obbligato a compilare ogni
due anni. Già nel 1904 vi era una trentina di persone occupate nel commercio (bottegai, rivenditori di
generi diversi, macellai) e nel 1921 risultano 32 sarrochesi nella Lista generale degli elettori
commerciali curata dalla Camera di Commercio. Queste attività commerciali erano in prevalenza
legate alla pastorizia: su 32 iscritti, 18 vengono classificati nella categoria industria armentizia. I
restanti 14 erano così ripartiti: 7 nella categoria generica di negozianti, 5 sotto la dicitura generi
diversi, uno nella categoria coloniali e tessuti ed uno classificato semplicemente come
commerciante.
È questo un elemento significativo: se infatti lo confrontiamo con i dati relativi ad altri comuni
con pari o maggiore densità demografica, il numero dei commercianti a Sarroch appare
considerevole: a Capoterra, che nel 1921 contava 2.831 abitanti (contro i 1.680 di Sarroch), vi erano
19 esercizi commerciali; in un altro comune vicino, Pula, i commercianti erano 4 su 2.066 abitanti; a
Burcei, con un numero di abitanti pressoché uguale (1.699), gli iscritti nella lista erano 6; nel comune
di Muravera, con una popolazione di 2.963 abitanti, solo 9 persone si dedicavano al commercio.
Nella relazione del dottor Brundu trovano ampio spazio, ovviamente, considerazioni sulla
situazione sanitaria della popolazione. Le malattie dominanti erano «le gastroenteriti e le malattie
dell'apparato digerente in genere» causate dall'«uso eccessivo e spesso esclusivo di frutta, talora anche acerba».
Erano presenti inoltre un gran numero di casi di tracoma, «da mettersi in relazione, più che altro, con
la scarsezza d'aria, di luce, di pulizia e di nessuna pratica igienica». Per quanto riguarda quella che è
stata definita, a ragione, la pandemia millenaria dell'isola, e cioè la malaria, vero flagello che verrà
debellato, come è noto, solo nel secondo dopoguerra, la lotta diede in quegli anni «ottimi risultati»
grazie alla distribuzione del chinino di stato. Le febbri malariche colpivano, in prevalenza, coloro
che «per la necessità della vita o debbono costantemente dormire all'aperto o escono e rientrano in
casa prima dello spuntare o dopo il tramonto del sole» e cioè i braccianti e i lavoratori delle
campagne. Nel 1906 si contarono a Sarroch 59 casi di malaria e nessun decesso: e questo, sottolinea
il medico, grazie all'amministrazione comunale che triplicò la somma stanziata in bilancio per
l'acquisto del chinino che, «distribuito con sapiente larghezza, ha risposto pienamente allo scopo». Il
dottor Brundu ebbe evidentemente qualche problema nella somministrazione del chinino: infatti, a tal
proposito suggeriva, «data l'indole della popolazione», l'acquisto di «tavolette di bisolfato di
chinino», preferibili alle «fialette per iniezioni».
Sulla base di queste considerazioni possiamo affermare che Sarroch, nel primo ventennio del
Novecento, si trovava in condizioni non dissimili dalla gran parte dei paesi della Sardegna: faceva
parte dei 357 comuni (il 98%) privi di fognature e dei 260 (il 71,3%) senza acquedotto; l'economia
era prevalentemente agro-pastorale e le attività commerciali, legate in modo esclusivo ai prodotti
della frutticoltura e all'allevamento, erano fortemente agevolate dalla vicinanza del capoluogo, che
rappresentava il maggiore bacino d'utenza per lo smercio di tali prodotti.
Lo storico Girolamo Sotgiu, uno dei più attenti e scrupolosi studiosi della realtà isolana,
esaminando la classe dirigente e la stratificazione sociale dei villaggi sardi nel primo Novecento,
osservava che «un ristretto numero di proprietari terrieri possedeva la maggior parte delle terre
coltivabili e di quelle da dare a pascolo e anche una consistente parte del bestiame, e deteneva
proprio per questa preminenza economica tutte le leve del potere politico, amministrativo, culturale».
Questo quadro descrive alla perfezione il contesto che contrassegnava Sarroch nella prima metà del
Novecento, dove il gruppo di potere era costituito dalle famiglie Cois, Demontis, Tiddia, Siotto e
Manca di Villahermosa. I membri delle istituzioni politiche, sociali ed economiche, quali il
Consiglio comunale, la Congregazione di carità, il Monte di soccorso e, in seguito, le istituzioni del
regime fascista, furono quasi sempre espressione di queste famiglie.
Una delle figure più importanti della comunità di Sarroch tra la seconda metà dellOttocento ed i
primi anni del Novecento è senza dubbio quella del notaio Alessio Cois, tra i più facoltosi possidenti
del paese. Morto all'età di 95 anni nel 1907, il notaio Cois ricoprì la carica di primo cittadino dal
1876 al 1879, dal 1886 al 1890 ed infine dal 1895 al 1902. Rimasto vedovo di Gerolama Piga, il
notaio Cois si risposò con Grazia Olla, più giovane di lui di ben cinquantuno anni, alla quale lasciò
una cospicua eredità. Tra i suoi discendenti che si impegnarono nella vita politica e amministrativa,
ricordiamo il nipote Annibale, figlio di Eusebio, consigliere comunale dal 1914 al 1920 e segretario
comunale dal 1915 al 1939 (in precedenza il segretario era il suocero di Annibale, Carlo Romanino,
che ricoprì quell'incarico per oltre trentacinque anni).
Dall'altro ramo dei Cois, quello discendente da Oriente, fratello del notaio, provengono numerosi
protagonisti della vita pubblica. Luigi e Alessio, figli di Oriente e Maria Caschili, furono consiglieri
comunali (Alessio nell'ultimo decennio dell'Ottocento, Luigi dal 1902 al 1920); Alessio fu anche
messo scrivano comunale per ben trentadue anni sino al 1926; Amedeo, figlio di Luigi, eletto nel
Consiglio nelle elezioni del 1920 (Consiglio sciolto nel 1926 in osservanza alle leggi fasciste che
istituivano la figura del podestà), nel secondo dopoguerra fu per un breve periodo sindaco. Infine un
nipote di Alessio, al quale, seguendo una consuetudine diffusa, venne dato il nome del nonno, fu
eletto nelle amministrative del 24 marzo 1946, le prime dopo il fascismo, e divenne primo cittadino
dal 1947 al 1951.
Altra famiglia benestante e potente è quella dei Demontis, commercianti, proprietari terrieri e di
bestiame. Il rappresentante più prestigioso fu sicuramente Vincenzo, sindaco dal 1909 al 1920 (con
una breve interruzione nel 1913). Sempre presente nella lista dei maggiori contribuenti del paese (nel
1907 risulta terzo nell'imposta sui terreni dopo i Manca di Villahermosa e i Siotto), proprietario di
una azienda agricola di 185 ettari (nel 1918 è il secondo produttore di grano a Sarroch e possiede un
capitale in bestiame costituito da 377 pecore, 306 capre e 51 bovini) durante il regime rappresentava
la Federazione provinciale fascista degli agricoltori nella Congregazione di carità.
Oltre Vincenzo, Sisinnio Demontis ed Eulalia Lilliu ebbero altri sei figli, Efisio, Giovanni,
Rafaele, Antonio, Giuseppe e Francesco; tra i fratelli, Rafaele fu quello che ricoprì la carica di
consigliere comunale più a lungo (dal 1899 al 1926). Vincenzo Demontis ebbe anch'egli numerosi
figli, tredici, dei quali tre assunsero incarichi pubblici: Rafaele, eletto in Consiglio nel 1920;
Pasquale, commissario prefettizio dal 1945 al 1946; Vittorio, presidente della Cassa comunale di
credito agricolo negli anni Cinquanta.
Anche la famiglia Tiddia ebbe una notevole influenza sulle vicende del paese. Personaggio di
spicco fu senz'altro il possidente Antonio Tiddia, figlio di Antioco e Greca Mascia, consigliere
comunale dal 1892 al 1920, e, durante il regime fascista, podestà dal 1929 al 1936. Suo figlio
Emilio, medico condotto dal 1926, ebbe negli anni Trenta incarichi di rilievo: oltre a quello di
ufficiale sanitario, fu presidente della Congregazione di carità e segretario politico della locale
sezione del Fascio.
Tra gli altri membri della famiglia Tiddia ricordiamo Angelo (figlio del fratello di Antonio,
Giovanni), sindaco dal 1954 al 1956, ed Egidio (figlio di Luigi altro fratello di Antonio e Giovanni,
morto in guerra nel 1917), assessore nel 1946.
Una citazione inoltre va fatta per altre due famiglie, i Concas ed i Pinna, che, seppur in maniera
inferiore, svolsero anch'esse un ruolo significativo nella vita pubblica del paese.
Tra i Concas, famiglia di commercianti, ricordiamo Raffaele, sindaco per otto anni nell'Ottocento
e i figli Carlo, Raimondo e Angelo. Carlo, che sposò Antonia Demontis figlia di Vincenzo, seguì le
orme del padre: fu infatti primo cittadino dal 1920 al 1927 e poi consigliere comunale nel 1946.
Raimondo, consigliere comunale dal 1914 al 1920, nel 1929 era il rappresentante della Federazione
fascista dei commercianti nella Congregazione di carità. Angelo, consigliere comunale dal 1920 al
1926, e poi nuovamente nel 1956, strinse anch'egli legami di parentela con la famiglia Demontis,
sposando la figlia di Rafaele, Adelina.
Per quanto riguarda i Pinna, menzioniamo Ambrogio sindaco dal 1903 al 1908, e suo figlio
Basilio che fu consigliere comunale dal 1920 al 1926, e, dal 1926 al 1928, segretario politico della
sezione del Fascio.
Un discorso a parte meritano alcune famiglie non originarie di Sarroch, i Siotto e i Manca di
Villahermosa, che scrissero due ragguardevoli pagine della storia del paese.
La famiglia Siotto, appartenente all'alta borghesia cagliaritana, strinse i primi rapporti con
Sarroch intorno agli anni Quaranta dell'Ottocento, in seguito all'acquisto di alcuni terreni da parte di
Giuseppe Siotto Pintor, insigne giurista, docente all'Università di Cagliari, deputato al Parlamento,
protagonista della scena culturale e politica, fratello di Giovanni, illustre letterato e storico e
anch'egli deputato. L'avvocato Giuseppe fu sindaco del paese dal 1853 al 1855, anno della sua morte.
Il suo unico figlio maschio Luigi, primo presidente della Corte d'Appello di Cagliari e consigliere di
Cassazione, ricoprì la carica di consigliere comunale a Sarroch dal 1867 al 1908, con qualche
interruzione. A sua volta suo figlio Giuseppe (conosciuto dai sarrochesi come don Peppicu),
anch'egli avvocato, sedette nei banchi del Consiglio nell'ultimo decennio dellOttocento e poi dal
1910 al 1914 quando fu eletto consigliere provinciale. Sia Luigi sia Giuseppe ricoprirono più volte
la carica di presidente della Congregazione di carità.
Nel corso degli anni la famiglia Siotto - che si fregiava dei diplomi di cavalierato e di nobiltà
concessigli nel 1826 dal re Carlo Felice - accrebbe notevolmente il proprio patrimonio terriero a
Sarroch, che raggiunse un'estensione di oltre 600 ettari, i quali si aggiunsero ai quasi 1.000 ettari di
terra posseduti nei comuni di Orani e Illorai. Così l'azienda agraria Siotto divenne una delle più
importanti del circondario cagliaritano e la famiglia rafforzò, di conseguenza, il proprio potere
politico ed economico. A testimonianza di tale potere è rimasta la grande villa che Giuseppe Siotto
costruì nei primi anni del Novecento con ingresso dalla piazza Municipio (oggi piazza Repubblica),
dalla quale dominava tutto l'abitato. Attualmente la villa è concessa in locazione al Comune, che la
utilizza per iniziative culturali, così come il palazzo acquistato dal Siotto a Cagliari nel 1926 ospita
oggi la sede della Fondazione a lui intitolata per volere testamentario dell'ultima erede Vincenzina,
morta nel 1989. Dal matrimonio tra Giuseppe Siotto e Chiara Serra di Santa Maria (scomparsa
prematuramente nel 1900) nacquero cinque femmine (Giovanna, Margherita e Rosalia morte
giovanissime, Maria Chiara e Vincenzina) ed un solo maschio, Luigi, caduto in guerra nel 1916 a
ventidue anni.
Le infelici vicende familiari possono in parte spiegare la severità del carattere del Siotto, che
traspare nei rapporti con i rappresentanti del potere politico ed amministrativo, spesso contrassegnati
da qualche dissidio come nel 1908, quando, per una questione di confini tra una proprietà dei Siotto
in località Foxi ed un terreno comunale, ci fu un duro contenzioso con l'amministrazione comunale,
che spinse il sindaco Ambrogio Pinna a dimettersi.
Ancora uno scontro nel 1925, quando la Giunta municipale guidata da Carlo Concas decise di
cambiare nome alla via Siotto e sostituirla con il viale delle Rimembranze, in onore ai caduti in
guerra. Ovviamente la reazione di Giuseppe Siotto fu piuttosto decisa e, con una lettera impregnata di
tagliente ironia («aderisco pienamente e di tutto cuore al voto di codesto onorevole consiglio per
intitolare la già via Siotto alla memoria gloriosa dei valorosi Sarrokesi caduti in guerra. E Le sarò
infinitamente grato se vorrà ringraziare i suoi colleghi. Prevenendo il mio desiderio di sottrarre un
nome rispettato e del quale sento tutto il peso alle facili critiche del volgo essi hanno acquistato
diritto alla mia gratitudine»), chiese al sindaco che gli venisse restituita la targa di marmo indicante
il nome della via, donata cinquantanni prima dal padre al Comune.
Due anni dopo, il commissario prefettizio Giovanni Sedda deliberò di ridare alla via l'antica
denominazione, accusando la passata amministrazione di aver voluto mutare il nome in viale delle
Rimembranze «non per spirito di patriottismo o per tenerezza verso coloro che diedero la vita alla
Patria, ma per sfogo di bile bolscevica ... contro il rappresentante in Sarrok dell'insigne famiglia
Siotto, vari figli della quale diedero lustro e decoro alla Sardegna».
Agli inizi degli anni Quaranta ci fu un altro contrasto tra Giuseppe Siotto ed il podestà Venanzio
Fanti. Quest'ultimo invitava il Siotto a cedere parte delle sue proprietà ad alcuni contadini disposti a
coltivarle, in osservanza alle direttive del duce che obbligava tutti i proprietari a «non lasciare
incoltivata nessuna zolla» del territorio per alleviare il problema alimentare reso drammatico dalla
guerra. Siotto rispose di aver già affittato tali terreni ad uso pascolo, e che in ogni modo avrebbe
fatto tutto il possibile per estendere la coltivazione del grano nelle altre sue proprietà, suscitando le
proteste del podestà. In una lettera al prefetto, Fanti censurava l'atteggiamento del Siotto, che mal si
adattava al difficile momento ed «alle disposizioni del Governo Fascista», e a suo parere
dimostrava, «come sempre aveva fatto, la sua indifferenza per questo paese», facendo «i suoi comodi
ed i suoi privati interessi».
Ancora rapporti tesi nel 1945, questa volta con il commissario prefettizio Pasquale Demontis, il
quale, per far fronte alla mancanza d'acqua e per prevenire una moria di bestiame, chiese a Giuseppe
Siotto, ottenendo un rifiuto, di mettere a disposizione un pozzo ubicato dentro una sua proprietà in
località Forada is olias.
Questi episodi non devono però fare passare in secondo piano i numerosi gesti di generosità che
Siotto ebbe nei confronti di Sarroch e dei suoi abitanti. Come si vedrà in seguito, egli, insieme ad
altri benestanti del paese, negli anni tristi della prima guerra mondiale, si impegnò per alleviare le
sofferenze delle famiglie povere; inoltre negli anni Trenta, donò al Comune un terreno di sua
proprietà per la costruzione delle scuole elementari.
I Manca di Villahermosa, anch'essi nobili e proprietari della famosa azienda agricola Villa
d'Orri, che si estendeva per oltre 1.500 ettari, si impegnarono attivamente nella vita politica del
paese prima con Stefano, consigliere comunale dal 1902 al 1910 e, in seguito, con il figlio
Vincenzo dal 1920 al 1926. Il figlio di quest'ultimo, Stefano, negli anni Trenta fece parte del
direttivo della sezione del Fascio, e poi nel dopoguerra venne eletto consigliere e fu sindaco dal
1951 al 1952.
Una vicenda legata alla famiglia Manca di Villahermosa è relativa al monumento ai caduti. Agli inizi
degli anni Venti fu deciso di dedicare un monumento ai cittadini sarrochesi caduti in guerra, e a tal
scopo si costituì un comitato per la raccolta di fondi, il cui presidente era Vincenzo Manca di
Villahermosa. Nel 1927 la somma accumulata grazie alle offerte dei cittadini e delle istituzioni
ammontava a diecimila lire, così il Manca decise di acquistare il monumento da uno scultore di
Roma, tal Ciocchetti. L'opera fu pagata dodicimila lire: l'amministrazione comunale avrebbe dovuto
versare allo scultore, secondo il marchese, le restanti duemila lire. Per diverse ragioni questo non
avvenne, e così il Manca si rifiutò di consegnare la statua al Comune. Il contenzioso andò avanti per
parecchi anni, fino a quando, nel 1940, il Comune deliberò di pagare il debito con il marchese di
Villahermosa. La statua venne definitivamente installata nella piazza Municipio nel 1954.
Il 24 maggio 1915 l'Italia fece il suo ingresso nel conflitto mondiale. I tre anni mezzo di guerra
furono anni di lutti e di crisi economica anche per Sarroch. Il 24 agosto arrivò un telegramma al
sindaco nel quale si annunciava la morte di Saverio Bottero, 21 anni, avvenuta il 25 luglio. Si
tratta della prima vittima sarrochese degli oltre quaranta caduti nella Grande guerra.
La guerra contribuì a rendere ancora più drammatica la situazione economica nell'isola. Scrive lo
storico Manlio Brigaglia che, dal 1912 al 1914, «una terribile siccità falcidiò il bestiame ma
soprattutto provocò il crollo della produzione granaria, più che dimezzata per tre anni consecutivi»;
in paese i danni provocati complessivamente ad agricoltori ed allevatori ammontarono a 179.586
lire. E se la produzione dimezzò, il costo della vita aumentò costantemente e i prezzi nel giro di pochi
anni triplicarono e, in alcuni casi, quadruplicarono, portando alla fame la popolazione. A Sarroch nel
1915 un chilo di carne bovina costava 1,50 lire, nel 1918 salì a 5 lire; e così il formaggio che passò
da 1 a 5 lire al chilo, l'olio d'oliva il cui prezzo aumentò da 2 a 5 lire al litro. Già nell'aprile del
1915 il prefetto dovette intervenire, in seguito a «lagnanze vivissime contro il progressivo e non
giustificato rincaro dei viveri», esortando l'amministrazione comunale, ritenuta responsabile della
situazione, ad imporre con urgenza il calmiere dei prezzi, «non solo per evitare eventuali
perturbamenti dell'ordine pubblico, dei quali ricadrebbe sulla stessa Amministrazione tutta la
responsabilità, ma, in ogni caso per impedire che la popolazione continui ad essere vittima indifesa
di ingordi speculatori».
Anche se in paese non ci risulta abbiano avuto luogo le agitazioni di piazza che invece
scoppiarono in altri centri dell'isola, il malcontento popolare appare chiaro da alcune richieste da
parte di dipendenti comunali che, tutto sommato, possiamo considerare privilegiati rispetto ad altri
lavoratori i quali denunciavano le misere condizioni di vita e, conseguentemente, chiedevano un
aumento di salario per affrontare il continuo crescere dei prezzi. Così il banditore e becchino
Francesco Vargiu chiese, «non potendo, stante l'attuale caroviveri, far fronte alle più ristrette spese
giornaliere » che gli venisse concesso «un aumento al suo umile stipendio». Efisio Congiu,
cantoniere comunale, lamentava che «il salario che finora gli si corrisponde ... è così misero che non
può, di fronte al continuo rialzo del costo della vita, sopperire neppure ai più impellenti bisogni di
una persona sola». Stesso tenore nella richiesta di un altro dipendente del comune, Alessio Cois
(appartenente, come abbiamo visto, ad una delle famiglie più importanti), che «non avendo che il
semplice salario di lire 600 annue che importa la misera giornaliera di £.1,67» non riusciva a far
fronte alle spese quotidiane per gli alimenti.
La drammaticità della situazione è ben documentata da un decreto, datato 23 giugno 1917, del
sindaco Vincenzo Demontis che autorizza la macellazione di un bovino di proprietà di Luigi Cois -
nonostante l'obbligo di effettuare tale operazione a Cagliari - per provvedere ai bisogni alimentari
dei cittadini allo scopo di «evitare ogni perturbamento dell'ordine pubblico», tenuto conto che nel
comune «è impossibile trovare generi alimentari» e che gran parte della popolazione «è sprovvista
anche di pane».
A soffrire erano in particolar modo le famiglie dei soldati richiamati al fronte, che si trovavano
prive di coloro (mariti, padri, figli, fratelli) che sino ad allora avevano provveduto al sostentamento
familiare. Allo scopo di venire incontro a queste famiglie, nel giugno del 1915 si costituì il Comitato
di assistenza civile di Sarrok di cui facevano parte il dottor Antonio Brundu, il sacerdote Antonio
Vargiu, Giuseppe Siotto, Antonio Tiddia e Annibaie Cois. Il comitato, oltre che fungere da tramite tra
le famiglie e i loro cari, si adoperò per chiedere sussidi alle amministrazioni comunali e provinciali,
si appellò ai proprietari del paese per ottenere «la cessione dell'1% del raccolto del grano da
distribuirsi ... alle famiglie dei richiamati» e un prezzo di favore «per la farina sino alla fine della
guerra». Lo stesso Siotto offrì alle famiglie la somma di 100 lire.
L'immediato dopoguerra è caratterizzato in Sardegna da un quadro sociale fortemente instabile,
da proteste popolari contro il caroviveri e l'inflazione e, dal punto di vista politico, dallo sviluppo
del movimento degli ex combattenti che cercò di interpretare la volontà di rinnovamento delle masse,
in opposizione alla vecchia classe dirigente liberale. L'esperienza nelle trincee aveva permesso a
migliaia di pastori e contadini - la maggior parte dei quali si trovò a combattere in un corpo formato
quasi esclusivamente da sardi, la brigata «Sassari» - di maturare una nuova coscienza politica, che si
concretizzava nella volontà di essere protagonisti nell'azione di cambiamento e di superamento della
condizione di arretratezza economica, sociale e politica dell'isola. Il movimento degli ex combattenti
- che nel 1921 rappresentò il nucleo costitutivo del Partito sardo d'azione - ebbe un notevole
consenso nelle elezioni politiche del 1919 ed in quelle amministrative del 1920, grazie anche alla
nuova legge elettorale che, oltre ad introdurre il sistema proporzionale, allargò notevolmente il
numero degli aventi diritto al voto, includendo non solo tutti i maschi maggiorenni, ma anche coloro
che, pur non avendo compiuto ventun'anni, avevano prestato servizio nell'esercito mobilitato.
Anche a Sarroch - dove il numero degli elettori raddoppiò rispetto al 1914, passando da 165 a
446
- le elezioni amministrative del 1920 portarono una ventata di novità, rappresentata dall'elezione
in Consiglio comunale di uomini «nuovi», giovani ex combattenti, contadini socialisti. Certo fu una
rappresentanza piuttosto esigua, che non impedì ai principales di continuare ad esercitare la loro
influenza (sindaco era infatti Carlo Concas, genero di Vincenzo Demontis); comunque, come esprime
uno dei neo eletti nel suo discorso in occasione della prima seduta del Consiglio, nel quale ringrazia
gli elettori per aver chiamato «a rappresentarli al comune gente giovane, gente che ha combattuto, col
proponimento di migliorare le condizioni del paese», si manifestò chiaramente un desiderio di
rinnovamento della vita comunitaria da parte di coloro che in precedenza non avevano avuto la
possibilità di partecipare concretamente alle decisioni politiche.
Qualche anno dopo, nel 1927, il commissario prefettizio Giovanni Sedda dichiarò che «la
maggior parte dei componenti del Consiglio Comunale del tempo» era imbevuta «di idee
bolsceviche»: anche se questa affermazione può apparire eccessiva, e dettata forse da contrasti di
natura personale più che ideologica e da un contesto politico particolare (siamo in pieno fascismo), è
allo stesso tempo indicativa di una mutata composizione sociale del Consiglio comunale eletto nel
1920.
Un ulteriore segnale di cambiamento è rappresentato dall'organizzarsi del movimento contadino:
ne è testimonianza la costituzione, nel 1922, di una cooperativa agricola, dal significativo nome Alba
proletaria, tra i cui soci fondatori vi erano due consiglieri comunali, Elisio Pinna e Angelo Usai, ed
un certo Raimondo Pinna che durante il fascismo ebbe non pochi problemi per le sue idee politiche.
La cooperativa, nata presumibilmente per spezzare il monopolio dei grossi proprietari nella vendita
dei beni di prima necessità, poneva tra i suoi scopi il «miglioramento morale e materiale dei soci e
della classe lavoratrice in genere mediante l'istituzione di un magazzino di generi di consumo aperto
ai soci ed al pubblico per sottrarre così il consumatore allo sfruttamento della speculazione privata».
In paese esisteva già una cooperativa di consumo nata nel 1916 per volontà di alcuni tra i maggiori
possidenti (Giuseppe Siotto, Antonio Tiddia, Luigi Cois), che cessò la sua attività nel 1924.
Contemporaneamente si svolsero in paese alcuni comizi organizzati dalla Lega dei contadini, ai
quali parteciparono come oratori il segretario della Camera del lavoro di Cagliari e altri dirigenti
socialisti. Questi comizi, dati i temi trattati (Movimento sindacale e politico, Socialismo e
organizzazione di classe), non erano certo visti di buon occhio dai proprietari del paese e
dall'autorità comunale, che infatti in alcuni casi vietò lo svolgersi delle manifestazioni per
«mantenere la pace tra la popolazione».
Ben presto questo processo di rinnovamento sociale fu interrotto dall'affermarsi del movimento
fascista. Le elezioni politiche del 6 aprile 1924 tristemente famose per il clima di violenza nel quale
si svolse la campagna elettorale sancirono definitivamente la vittoria del fascismo. Anche a Sarroch,
come nella gran parte dei centri rurali, la lista avente come simbolo il Fascio littorio conquistò la
maggioranza dei consensi (ben 170 su 232 voti validi, il 73,2%), mentre sia il Partito popolare sia il
Partito socialista ottennero ciascuno 22 voti (9,5%) e il Partito sardo d'azione 11 voti (5%).
Clamoroso il tracollo della vecchia classe dirigente, riunitasi nella lista Opposizione costituzionale
che raccolse solo 2 voti (0,8%); la lista Democrazia sociale ottenne 5 voti (2,1%).
Tra i provvedimenti che furono adottati negli anni precedenti il fascismo, vale la pena di ricordare il
cambiamento di nome ad alcune vie del paese, avvenuto nel 1921. Dal verbale della Commissione
comunale di censimento risulta infatti che venne reputato «più decoroso variare la denominazione
delle vie, sostituendo agli attuali nomi ormai secolari e noti da inveterate abitudini popolari, altri che
ricordino qualche nostro illustre personaggio o che ricordino i fatti più salienti delle nostre lotte di
redenzione e di progresso». Così il generale Alberto Della Marmora e l'illustre giurista Domenico
Alberto Azuni entrarono a far parte della toponomastica del paese, sostituendo rispettivamente le vie
Chiesa e Massidda; in onore allo spirito patriottico via Trento sostituì via Monte Gravellus e via
Trieste via Caserma; la via Centrale venne rinominata via Indipendenza mentre via Barona divenne
via Sassari; infine la via Sant'Anna prese il posto di via Linnarbu.
La popolazione rispetto a dieci anni prima era aumentata di appena il 2%, passando da 1.646 a
1.680 abitanti. Questa situazione di stasi era dovuta in gran parte ai morti degli anni di guerra e
all'epidemia di febbre spagnola che colpì la Sardegna nel 1918, e che sicuramente fece numerose
vittime anche a Sarroch: in quell'anno infatti i morti furono ben 73, un numero molto superiore alla
media.
Nel rione di Santa Vittoria risiedevano circa 1.400 persone. La parte più consistente delle
abitazioni si trovava nella via La Marmora, dove erano censiti 43 fabbricati, seguita dalla via
Cagliari (compreso il vico Cagliari) con 34 e dalla via Trieste con 31. La via Sassari contava 26
case, mentre la via Azuni 24; nella via del Porto (che dal 1931 si chiamerà via Roma), oltre la
scuola, vi erano 15 fabbricati, così come in via Indipendenza; via Trento ospitava 11 abitazioni e la
via Sant'Anna 7. Infine, nella piazza Municipio, oltre al caseggiato che ospitava il Comune e la
caserma, erano ubicati la chiesa parrocchiale, il Monte frumentario e 5 abitazioni. Nella frazione di
San Giorgio, in cui risiedevano 174 persone, 27 abitazioni erano situate nella via Lilliu e 12 nella
via San Marco e nel rispettivo vico. Circa 50 persone risiedevano nella tenuta di Villa d'Orri, 18 ad
Antigori, mentre 40 persone abitavano nei casali sparsi nelle località Tuerra, Is Cannas, Sa Punta,
Flumini de binu e Forada is olias.
Durante il ventennio fascista, grazie alla cosiddetta «legge del miliardo» del novembre 1924,
presero avvio diversi lavori pubblici che, se si rivelarono assolutamente insufficienti a superare le
condizioni di arretratezza e a sollecitare lo sviluppo economico (infatti le opere prioritarie dal punto
di vista igienicosanitario, quali l'acquedotto e le fognature, furono completate molti anni dopo),
tuttavia consentirono un leggero miglioramento della vita civile.
Oltre all'ampliamento del cimitero e della casa comunale, negli anni Trenta fu costruito il nuovo
edificio scolastico e fu impiantata la rete di energia elettrica.
I progetti relativi all'ampliamento della vecchia scuola elementare risalivano al 1920, ma ancora
nel 1927 il commissario prefettizio Giovanni Sedda ribadiva l'urgenza di una nuova sede scolastica,
sollecitando con una lettera l'impegno del prefetto di Cagliari perché intercedesse presso il
Provveditorato alle opere pubbliche per la Sardegna (l'organismo istituito per l'elaborazione,
l'esecuzione ed il coordinamento delle opere previste dalla «legge del miliardo»), affinché fossero
stanziati i fondi per la costruzione di un nuovo «casamento scolastico». Nella lettera vengono
illustrate le condizioni in cui gli alunni erano costretti a seguire le lezioni, che si svolgevano - oltre
che in due stanze, una presa in affitto e una di proprietà comunale «alla meglio adattata a scuola» -
nell'edificio scolastico costruito nel 1886, situato tra la chiesa e lo stabile che ospitava la caserma ed
il comune, e che consisteva in due grandi aule umide, fredde, poco luminose, malsane a tal punto da
far affermare al commissario prefettizio che «parecchie malattie molto diffuse in questo paese, quali
il tracoma e la tubercolosi ... trovino la loro culla, anzi l'ambiente adatto per svilupparsi, proprio
nelle scuole, dove i ragazzi, ancora in tenera età, devono trascorrere un certo numero d'anni rinchiusi
in certe stanze, che potrebbero, anziché scuole, chiamarsi cantine».
Accantonata l'idea di ampliare il vecchio caseggiato, si decise di costruire un nuovo edificio:
venne individuato un terreno all'inizio dell'abitato, vicino alla strada provinciale, che il proprietario
Giuseppe Siotto donerà al comune nel 1933 con la clausola che nell'atrio o nell'aula più importante
dell'edificio fosse apposta una lapide «con i nomi dei combattenti di Sarroch caduti nell'ultima
guerra, lapide che sarà monito, esempio ed insegnamento alle generazioni venture», e con l'auspicio
che la scuola venga intitolata al figlio Luigi, morto in combattimento nel 1915. L'ingegner Alberto
Sanjust venne incaricato di redigere il progetto ed i lavori, affidati all'impresa di Venanzio Fanti,
inizieranno nel gennaio del 1934, e finalmente il 28 ottobre dello stesso anno, con un discorso del
maestro Efisio Dessi, ci fu l'inaugurazione della nuova scuola, costruita su due piani (il terzo piano
verrà costruito negli anni Sessanta), che comprendeva sei aule e altri sei ambienti destinati a sale per
gli insegnanti ed ai servizi igienici.
L'impianto della rete di distribuzione dell'energia elettrica, nel 1934, rappresentò un altro passo
verso la modernizzazione. Anche in questo caso, la strada fu tutt'altro che agevole e rapida. I primi
contatti risalgono a prima dell'avvento del fascismo, nel 1920, quando l'ingegner Giulio Dolcetta,
amministratore delegato della Società Elettrica Sarda, tramite il marchese Vincenzo Manca di
Villahermosa, presentò un progetto per far arrivare l'energia elettrica nei paesi di Sarroch, Pula e
Teulada. Nel 1924 si avviarono le pratiche per la realizzazione del progetto, ma due anni dopo, a
causa delle scarse risorse finanziarie del Comune, tutto si fermò. I contatti ripresero nel 1930 e, dopo
varie vicissitudini legate alla scelta dell'impresa appaltatrice dei lavori, il 29 novembre 1934 venne
firmato il contratto con la società Imprese Elettriche Sarde ed il 28 aprile 1935 ci fu l'inaugurazione
dell'impianto di illuminazione pubblica. Gli utenti privati che usufruirono sin dall'inizio della luce
elettrica furono ventiquattro.
Più lungo e tortuoso il percorso che porterà alla costruzione dell'acquedotto. L'esigenza di poter
disporre di acqua potabile era molto sentita dalla popolazione. Significativa a questo riguardo una
Relazione circa Vapprovvigionamento idrico attuale del Comune di Sarrok, del 1924. Nel
documento si legge, tra le altre cose, che l'acqua dei «pozzi esistenti nel centro del popolato» era
«pessima, pesante, dura, salmastra e per conseguenza nient'affatto igienica», mentre quella della fonte
di Is Suergius era rifiutata persino dal bestiame per il gusto non proprio gradevole causato dai tubi
utilizzati per l'aspirazione. Inoltre, a causa delle infiltrazioni d'acqua piovana, diventava di colore
giallo scuro e, nella stagione estiva, si popolava «di insetti di ogni genere» diventando così
«impotabile anzi addirittura ripugnante». La popolazione era quindi costretta a rifornirsi dalla fonte
d i Is Piccionis, distante circa cinque chilometri dal centro abitato, con gli immaginabili disagi e
fatica nel trasportare l'acqua in paese «mediante botti o anche con anfore e brocche portate a spalla».
Per questi motivi era ritenuto indispensabile un acquedotto che oltre a fornire il paese di acqua di
ottima qualità «la dia anche abbondante per tutti quegli usi indicati dall'igiene e dalla moderna
civiltà».
Gli studi ed i progetti per la costruzione di un acquedotto consorziale, con i comuni di Pula e San
Pietro Pula, presero avvio nel 1921. Il primo progetto, che prevedeva uno sbarramento sul rio di
Monte Nieddu, fu respinto nel 1926 dal Genio civile, che propose ai tre comuni di unirsi al comune
di Domus de Maria e di sfruttare la stessa sorgente che alimentava l'acquedotto di Teulada. Il nuovo
progetto venne approvato nel maggio del 1932 dal Comitato tecnico amministrativo alle opere
pubbliche per la Sardegna e l'anno successivo iniziarono i lavori, che si conclusero nel 1935 con
l'arrivo dell'acqua a Pula. Per mancanza di fondi, il terzo lotto dei lavori, che avrebbe dovuto portare
l'acqua a Sarroch, non fu finanziato, provocando le proteste degli amministratori, delusione e disagi
nella popolazione.
Nell'estate del 1937 la situazione rischiò di degenerare in una «guerra fra poveri». Tra i due
paesi rimasti senza acquedotto, San Pietro Pula e, appunto, Sarroch, il primo aveva maggiore
disponibilità di acqua potabile. Un'allarmata lettera del commissario prefettizio di Pula al
Provveditore alle opere pubbliche testimonia le drammatiche condizioni della popolazione
sarrochese: «dapprima - scrive - erano i signori che nottetempo mandavano i loro carri per farsi la
provvista; poi è stata la volta degli speculatori che ne attingevano grosse botti per venderla a caro
prezzo; ora infine è tutta la popolazione che a carovane più o meno numerose durante la notte si reca
a San Pietro Pula per riempirsi le brocche d'acqua». In un primo momento gli abitanti di San Pietro
Pula non opposero resistenza, ma quando l'acqua cominciò a scarseggiare anche per i bisogni locali,
la tolleranza venne meno e solo l'intervento delle autorità evitò disordini.
Questo episodio fotografa alla perfezione l'estremo disagio sopportato dagli abitanti e rende
esplicito il grave danno per l'economia del paese dovuto alla mancanza di un elemento essenziale
come l'acqua.
Le risorse finanziarie destinate dal Governo alle opere pubbliche diminuirono notevolmente a
favore di quelle militari (ricordiamo la conquista dell'Etiopia nel 1935 e l'invasione dell'Albania nel
1939); pertanto, anche a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, i lavori per la
continuazione dell'acquedotto furono definitivamente interrotti.
Solo nel 1947 ci fu la ripresa dei lavori e finalmente, nell'ottobre del 1949, a diciotto anni di
distanza dall'approvazione del progetto, arrivò l'acqua a Sarroch. L'acquedotto si rivelò tuttavia
insufficiente agli accresciuti bisogni della popolazione, per cui nel corso degli anni Cinquanta
l'amministrazione comunale fece richiesta di ampliamento. Un anno dopo venne deliberata la
costruzione della rete di fognature, che fu ultimata nel 1959.
L'economia del paese non subì, durante il fascismo, mutamenti significativi. Nonostante la
«battaglia del grano» - attuata dal regime a partire dal 1925 nel quadro della politica orientata
all'autonomia economica dell'Italia - a Sarroch la superficie destinata alla cerealicoltura restò
pressoché invariata. I dati a disposizione ci parlano di almeno 750 ettari coltivati a grano nel 1933,
come risulta da una denuncia di danni causati da una forte grandinata nella notte tra il 25 ed il 26
gennaio. È certa comunque la crisi della pastorizia a partire dagli anni Trenta (crisi che colpì tutta la
Sardegna) testimoniata dalla netta diminuzione dei capi ovini, che passarono dai 6.188 del 1930 ai
2.723 del 1936. La disoccupazione aumentò, così come gli iscritti nell'elenco dei poveri, in costante
ascesa a partire dal 1930: nel 1937 l'elenco comprendeva 1.035 persone, pari al 57% della
popolazione.
L'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno 1940, portò con sé inevitabili conseguenze: il
razionamento dei generi alimentari, la piaga del mercato nero, il peggioramento delle condizioni di
vita soprattutto dei ceti più deboli. Dalle notizie estremamente scarse relative agli anni di guerra,
veniamo a conoscenza che durante il conflitto Sarroch fu oggetto di due incursioni aeree, che
fortunatamente non provocarono vittime. Nella prima, il 29 settembre 1941 alle ore 9.15, fu
mitragliato il caseggiato della scuola elementare, mandando in frantumi tutti i vetri e causando danni
per mille lire. In seguito a questo episodio furono costruiti cinque rifugi antiaerei: tre in prossimità
dell'edificio scolastico e due nella piazza Municipio. La seconda incursione aerea risale alla notte tra
18 ed il 9 giugno 1942, quando furono sganciate numerose bombe a circa un chilometro dal centro
abitato, senza provocare nessun danno. I bombardamenti ben più cruenti che nel febbraio 1943 ridussero Cagliari ad un cumulo di
macerie costrinsero gran parte degli abitanti del capoluogo a rifugiarsi nei paesi. Anche Sarroch
si adoperò per ospitare una settantina di sfollati cagliaritani, mettendo a loro disposizione
diversi locali.
Dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, e l'armistizio con gli alleati dell8 settembre, inizia il
lento processo di defascistizzazione. L'atto che segnò la fíne del regime fascista e la ricostituzione
delle istituzioni democratiche a Sarroch è datato 22 gennaio 1944, quando il prefetto di Cagliari
sollevò dall'incarico il podestà Fanti, nominando commissario prefettizio Nicolò Salonis.
Ripresero le attività dei partiti politici e il 28 maggio dello stesso anno si riunì, sotto la
presidenza di Giuseppe Siotto, il Comitato comunale di concentrazione antifascista, composto da
Efisio Pinna e Umberto Contini per la Democrazia cristiana, Antonio Sanna e Silvio Pinna per il
Partito socialista, Nicolò Salonis per il Partito liberale. Il 2 luglio si insediò ufficialmente la nuova
amministrazione comunale formata dal sindaco Salonis (sostituito poi dal commissario prefettizio
Pasquale Demontis nel luglio del 1945) e dagli assessori Rafaele Mura e Efisio Pinna (De), Antonio
Sanna (Psi) e Pietro Spanu (Pii) che rimase in carica sino al 24 marzo 1946, data in cui si svolsero le
prime elezioni amministrative dopo ventisei anni. Il nuovo Consiglio comunale si trovò ad affrontare, in primo luogo, il disagio sociale accresciuto
dalla mancanza di lavoro. A partire dal 1950 le proteste dei disoccupati e delle loro famiglie si
intensificarono; ci furono anche occupazioni di terre incolte, dove i braccianti senza lavoro si
recarono volontariamente a lavorare. L'11 dicembre il sindaco Alessio Cois scrisse al
presidente della Regione e al rappresentante del Governo, dopo aver ricevuto le lamentele di un
centinaio di disoccupati, per illustrare la «preoccupante disoccupazione locale», chiedendo
«l'apertura di un nuovo cantiere di lavoro»; il 27 dicembre i rappresentanti delle organizzazioni
sindacali CGIL e CISL, in una riunione con gli amministratori comunali ed i disoccupati,
richiamarono le «autorità competenti a dare un tangibile contributo» per la soluzione del grave
problema, che riguardava «ben 119 disoccupati, non tenendo conto degli altri lavoratori» che
per varie ragioni non erano iscritti nell'elenco dei senza lavoro e che assommavano «ad un
numero altrettanto ragguardevole». Anche il sindaco Pudda, nel 1954, si rivolse al prefetto per
sollecitare l'impegno da parte della Regione ad approvare i progetti di sistemazione della strada
di circonvallazione e del campo sportivo, creando così posti di lavoro «onde porre fine al
disagio che esiste in questa popolazione» e per far sì che «quanto prima ritorni il sorriso sulle
labbra di moltissime persone smunte e patite dagli stenti di una miseria indescrivibile». Miseria
che risulta evidente dai dati del censimento del 1951: su un totale di 459 abitazioni occupate,
solo 100 usufruivano dell'acqua potabile fornita dall'acquedotto, mentre 62 si servivano
dell'acqua di pozzo; per quanto riguarda i servizi igienici, 234 abitazioni avevano la latrina
esterna, 8 quella interna e solo 6 abitazioni avevano il bagno. Ben 206 case erano prive sia di
acqua potabile sia di qualsiasi servizio igienico, e 110 non avevano l'illuminazione elettrica. La
situazione migliorò sensibilmente dieci anni dopo, quando solo 32 abitazioni (su un totale di
592) risultavano prive dell'acqua potabile e dei servizi igienici, e 40 erano prive
dell'illuminazione elettrica.
Nel frattempo le elezioni del 1956 segnarono un cambiamento nella guida politica del paese, che
passò nelle mani della sinistra. Fu eletto sindaco un giovane medico, Stefano Coroneo, che ricoprì la
carica per undici anni di fila sino al 1967, ed in seguito, per altri sei anni dal 1972 al 1978. Il nuovo
sindaco, pur rappresentando le istanze di rinnovamento della vita sociale e politica, allo stesso
tempo si legò con vincolo di parentela a due famiglie che, come illustrato in precedenza, avevano per
lungo tempo detenuto il potere politico in paese: egli sposò infatti la figlia di Angelo Concas e
Adelina Demontis, Efisia.
Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta ci fu una crescita dal punto di vista urbanistico:
iniziarono i lavori di costruzione della nuova chiesa parrocchiale (1961), furono eliminati gli
abbeveratoi per il bestiame dal centro abitato (decisione che, insieme al completamento della rete di
fognatura, contribuì al miglioramento della situazione igienica), entrò in funzione una nuova sala
cinematografica da 200 posti, che si affiancò al cinema parrocchiale gestito dal sacerdote Giuseppe
Pibiri. Inoltre fu sistemato il campo sportivo: ancora nel 1958 la squadra di calcio si allenava nel
terreno comunale denominato Is Argioleddas, che contemporaneamente il Comune affittava come
pascolo; nel contratto d'affitto era specificato che «l'aggiudicatario dovrà permettere che in un tratto
di terreno la locale squadra di calcio si possa allenare».
Nel 1957 l'espansione del centro abitato rese necessaria l'apertura di nuove strade: il tratto di
strada dove sorgeva il cinema parrocchiale «da via Roma al primo incrocio» fu denominato via Italo
Caboni, in onore ad un caduto durante la seconda guerra mondiale; la «strada del cinema
modernissimo, da via Roma fino al secondo incrocio» fu chiamata via Garibaldi; sorsero ancora la
via Matteotti («dalla casa Gessa fino alla casa Onnis»), la via Primo Maggio («dalla casa di Caboni
Giovanni fu Antonio fino alla casa di Caboni Giovanni fu Massimino»), la via San Giorgio
(«dall'incrocio con via Cagliari fino al cimitero ed oltre fino all'ex frazione San Giorgio»), la via al
Mare («dall'incrocio con via Roma fino al mare»), la via Dante («dall'incrocio con la Statale 192
fino all'incrocio con la strada vicinale Is Piccionis»).
All'indomani della seconda guerra mondiale la situazione economica dell'Italia era
particolarmente disastrata: ad una disoccupazione di massa strutturale, si accompagnavano un sistema
industriale da ricostruire nel nord e un'agricoltura povera ed arretrata, specialmente nel meridione.
In una fase iniziale, che durò all'incirca sino alla fine degli anni Cinquanta, si affrontò
principalmente la questione agraria, mentre la possibilità di attuare nel Mezzogiorno una politica di
industrializzazione vera e propria venne, in un primo momento, scartata.
Le agitazioni dei contadini contro la grande proprietà e l'apparato statale costrinsero il governo a
prendere provvedimenti: nel 1944, a guerra non ancora finita, fu emanato il decreto Gullo, che
autorizzava l'assegnazione ai braccianti di terre lasciate incolte dai proprietari ed in seguito, nel
1950 - al culmine delle lotte contadine che costarono al movimento oltre quindici morti -, fu attuata la
Riforma fondiaria che, con la cosiddetta «legge stralcio» venne estesa anche alla Sardegna.
Un altro settore nel quale si concentrò la politica economica del governo per ridurre il divario tra
il nord e il sud del paese fu quello delle opere pubbliche. Nel 1950 fu istituita la Cassa per il
Mezzogiorno con lo scopo di consolidare le infrastrutture civili e migliorare le condizioni di vita
delle popolazioni del sud. Tre anni dopo fece seguito la legge per gli istituti di credito agevolato
nelle regioni meridionali (tra i quali il Cis e il Banco di Sardegna). Il Cis, Credito industriale sardo,
aveva lo scopo di esercitare il credito a medio termine «a favore delle medie e piccole imprese
sarde al fine di mettere in valore risorse economiche e possibilità di lavoro nel territorio della
Sardegna», mentre il Banco di Sardegna aveva le funzioni sia di banca di credito ordinario sia quelle
di istituto di credito speciale per lagricoltura.
La situazione in Sardegna non era dissimile da quella delle altre regioni meridionali, come è ben
documentato dagli atti delle Commissioni parlamentari di inchiesta sulla disoccupazione e sulla
miseria, dei primi anni Cinquanta. La povertà e l'arretratezza caratterizzavano le strutture sociali e
produttive; l'unica attività industriale di una certa importanza - peraltro in lento ma inesorabile
declino - era rappresentata da quella estrattiva, circoscritta al bacino minerario del Sulcis-Iglesiente,
e l'emigrazione verso le grandi città del nord ed i paesi europei, in particolare Belgio e Germania,
che si fece più intensa nei primi anni Sessanta, rappresentava uno sbocco occupativo per molti
lavoratori in fuga dalle campagne o colpiti dalla crisi delle miniere. Ma la classe politica isolana
disponeva di uno strumento legislativo che avrebbe potuto consentire il superamento di tale
situazione: l'articolo 13 dello Statuto speciale (approvato il 31 gennaio 1948 dall'Assemblea
Costituente), che prevedeva un impegno dello Stato e della Regione per la disposizione di «un piano
organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'isola».
Sollecitare l'impegno per l'attuazione dell'art. 13 fu alla base di un movimento popolare che prese
avvio nel 1950 su iniziativa dei sindacati e delle forze politiche della sinistra; furono organizzati
diversi congressi nei quali si esaminarono i gravi problemi dell'economia sarda cercando di studiare
e di proporre delle soluzioni. Finalmente nel 1951 il governo nazionale nominò una Commissione
economica di studio per il Piano di rinascita, che iniziò i suoi lavori tre anni dopo e nel 1958
consegnò il suo rapporto conclusivo al Comitato dei ministri per il Mezzogiorno. Nelle conclusioni
della Commissione, l'agricoltura assumeva un ruolo prioritario rispetto all'industria nello sviluppo
economico della Sardegna; una successiva commissione, nota come Gruppo di lavoro, incaricata di
redigere un programma di intervento sulla base dei dati precedentemente acquisiti e opportunamente
aggiornati, ribaltò i ruoli, assegnando all'industria il compito di modernizzare l'economia isolana.
Questa inversione di tendenza era in sintonia con il mutamento in atto nella politica economica a
livello nazionale: infatti, con la legge 634, del 20 luglio 1957, divenne esplicita la svolta verso
l'industrializzazione. Tale legge prevedeva l'istituzione di aree e nuclei di sviluppo industriale.
Inizialmente furono previste soltanto quattro zone (tra le quali Porto Torres), ma in seguito le zone
ufficialmente approvate furono molto più numerose (oltre cinquanta). Uno tra i provvedimenti più
rilevanti compresi nella legge 634 fu l'istituzione di contributi a fondo perduto che la Cassa per il
Mezzogiorno veniva autorizzata a concedere alle iniziative industriali. Grazie agli incentivi finanziari
si insediarono nelle regioni meridionali grosse industrie di base, che avrebbero dovuto costituire il
fattore propulsivo per la nascita di piccole e medie industrie di trasformazione.
Dopo un iter legislativo piuttosto complicato e segnato da polemiche e ritardi, nel maggio del
1962 si arrivò all'approvazione del disegno di legge sul Piano straordinario per favorire la rinascita
economica e sociale della Sardegna, che divenne legge l'il giugno 1962, con il n. 588.
La Sardegna cominciò lentamente a cambiare volto. Nella zona settentrionale si avviava lo
sviluppo turistico con la costituzione del consorzio Costa Smeralda e con la lottizzazione delle coste
da parte di operatori privati stranieri e continentali, volta a soddisfare le esigenze di un turismo
d'élite. Un imprenditore lombardo, Angelo Moratti, progettava in quel periodo un grande complesso
alberghiero nei pressi di Stintino. Ma l'attività principale di Moratti era legata agli impianti di
raffinazione del petrolio. E proprio in relazione a tale attività Moratti, agli inizi degli anni Sessanta,
prese contatti con l'amministrazione comunale di Sarroch, manifestando l'intenzione di acquistare
gran parte dei terreni prospicienti il mare per la costruzione di una raffineria di petrolio.
Fu così che cominciò l'avventura industriale destinata a modificare in maniera sostanziale la vita
sociale ed economica del paese.
Gli amministratori comunali di Sarroch, solo dopo ampie rassicurazioni in merito alle
prospettive occupative e di sviluppo della zona, diedero parere favorevole al progetto presentato da
Moratti e dal suo collaboratore, l'ingegner Santo Zucco. Rassicurazioni documentate dagli studi
compiuti da esperti internazionali sull'opportunità di costruire una raffineria nel golfo di Cagliari, che
per la sua posizione al centro del Mediterraneo e per la profondità dei suoi fondali, adatti all'attracco
delle petroliere, fu scelto a tal fine. Gli studi indicarono nel territorio di Sarroch il luogo ideale per
far sorgere l'impianto, grazie alla sua vicinanza con il capoluogo dotato di porto ed aeroporto, e alla
presenza di un centro abitato, necessario per fornire alloggi e servizi ai dipendenti.
Il 24 maggio 1962 si costituisce la società SARAS (Società Anonima Raffinerie Sarde); nella
seduta del 23 dicembre dello stesso anno la Giunta municipale deliberò di aderire al Consorzio area
di sviluppo industriale di Cagliari, e, il 24 aprile 1963 fu depositato e pubblicato presso il
Municipio di Sarroch il piano di esecuzione per la realizzazione dell'impianto.
In seguito alla presentazione del progetto ci furono numerose discussioni e polemiche, alimentate
soprattutto, ma non solo, dai proprietari dei terreni sui quali si sarebbe dovuto costruire lo
stabilimento. Le posizioni contrarie all'industrializzazione del territorio furono espresse chiaramente
dal presidente del Consorzio di bonifica della costa sud occidentale del golfo di Cagliari, il quale
polemizzò sulla scelta dell'area definita come «una delle zone più fertili e più promettenti sia dal
punto di vista agrario, come dal punto di vista residenziale, sia dal punto di vista turistico», e mise in
guardia sulle conseguenze di tale decisione che «provocheranno la distruzione definitiva di ogni
possibilità di evoluzione di tutta la zona». Anche la famiglia Siotto, proprietaria di circa 40 ettari dei
180 da espropriare previsti nel piano della SARAS, si oppose con fermezza alla costruzione della
raffineria. In una lettera indirizzata al prefetto di Cagliari ed al ministro dell'industria, Maria Chiara
e Vincenza Siotto reputarono «assai limitato» il vantaggio che Sarroch avrebbe potuto avere
dall'industria, in quanto «il personale che la raffineria impiegherà non potrà superare il centinaio di
operai e la cinquantina di impiegati», mentre «l'attuale razionale sfruttamento agricolo dei terreni con
culture specializzate richiede un maggior numero di giornate lavorative ... e produce una maggiore
ricchezza che rimane nel posto».
Le posizioni favorevoli, che invece vedevano nell'industria un'occasione di sviluppo e
occupazione, prevalsero e alla fine del 1963 iniziarono i lavori di costruzione - durati poco più di un
anno - della raffineria, che sarebbe diventata una delle più grandi ed importanti d'Europa.
Il 17 gennaio 1965, alla presenza di numerose autorità, tra le quali ricordiamo il presidente della
Regione Efisio Corrias, l'assessore regionale all'industria Pietro Melis, il presidente del Cis
Raffaele Garzia, e, ovviamente, gli amministratori comunali di Sarroch, la petroliera World Grace,
proveniente dal Kuwait, attraccò nel pontile del porticciolo, dando così l'avvio all'attività della
raffineria.
Ma l'inaugurazione ufficiale avvenne, dopo oltre un anno di rodaggio e collaudo degli impianti, il
16 giugno 1966, alla presenza del ministro dell'industria Giulio Andreotti, il quale lodò Moratti per
l'impegno a favore dell'industrializzazione della Sardegna, di cui la raffineria SARAS rappresentava
una tappa fondamentale, contribuendo così a lenire il grave problema della disoccupazione, che
costringeva molti sardi ad emigrare per trovare impiego: «ho saputo - affermò Andreotti - che l'87
per cento dei dipendenti, qui dentro, sono sardi e me ne rallegro, tanto più che molti sono tornati
d'oltre Tirreno dove avevano cercato il lavoro che in passato non riuscivano a trovare nella loro
isola». La cerimonia inaugurale, ci racconta la cronaca dell'Unione Sarda, fu particolarmente
suggestiva: «dopo la benedizione impartita dall'Arcivescovo monsignor Botto» suonarono le sirene
delle petroliere «che avevano levato il gran pavese, mentre potenti getti d'acqua creavano nella
mattinata afosa un insolito motivo decorativo sullo sfondo della raffineria».
Inizialmente lo stabilimento si estendeva su una superficie di 180 ettari, mentre attualmente tutto
l'agglomerato industriale di Sarroch copre circa 797 ettari, occupati per il 90% dalla raffineria e
dalle attività petrolchimiche e di servizio a questa collegate.
Il confronto fra i dati relativi ai censimenti del 1961 e del 1971 permette alcune considerazioni
sui mutamenti avvenuti nel decennio cruciale per lo sviluppo economico del paese. In primo luogo è
da mettere in evidenza un incremento demografico del 45% (la popolazione passò da 2710 a 3944
abitanti), indice di un miglioramento delle condizioni di vita. I dati sull'istruzione registrano un
aumento dei possessori della licenza media (da 52 a 386), dei diplomati (da 43 a 119) e dei laureati
(da 8 a 18). Il peso dei settori produttivi si invertì a favore dell'industria che vide crescere i propri
addetti da 300 a 535, mentre il numero dei lavoratori agricoli diminuì da 439 a 188. In questa
inversione di tendenza la SARAS ebbe, ovviamente, un ruolo determinante: nell'anno in cui entrò in
funzione, su 280 dipendenti il 20% era residente a Sarroch. L'occupazione all'interno dello
stabilimento, a parte una leggera flessione tra il 1982 e il 1985, fa registrare un costante incremento:
si passa dai 280 addetti nel 1965 ai 610 del 1974, sino a 815 lavoratori nel 1981. Nel 2000 i
dipendenti diretti dello stabilimento di Sarroch erano oltre mille; tenendo conto dei duemila addetti
per l'indotto diretto, rappresentato dalle ditte esterne e dai servizi collegati direttamente alla
raffineria, e di altrettanti dovuti alla ricaduta occupazionale indirettamente riferibile alla SARAS, gli
occupati superavano le tremila unità.
Tuttavia il processo di industrializzazione, se da una parte ha rappresentato per Sarroch un
radicale mutamento a livello non solo economico, ma anche sociale e culturale, dall'altra ha
costituito anche un legame, talvolta troppo stretto, che ha finito per mettere in secondo piano altri
aspetti del territorio meritevoli di essere valorizzati. Negli ultimi anni, infatti, si è manifestata
l'esigenza di riscoprire il patrimonio storico ed archeologico del paese, come una nuova alternativa
allo sviluppo. Ne sono testimonianza le diverse iniziative dell'amministrazione comunale, dalla
riqualificazione del centro storico alla valorizzazione dei numerosi siti archeologici, che, oltre a
rispondere alla necessità della popolazione di riscoprire le proprie radici, possono rappresentare un
ottimo incentivo per lo sviluppo di un turismo culturale.
FONTI D’ARCHIVIO
La documentazione utilizzata per la stesura del saggio proviene in gran parte dall'Archivio Storico
Comunale di Sarroch.
Sono stati inoltre consultati i seguenti archivi: Archivio di Stato di Cagliari; Archivio
Arcivescovile di Cagliari; Archivio dell'azienda agraria Casa Siotto, custodito presso la Fondazione
Istituto Storico Giuseppe Siotto di Cagliari.